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A L’Avana sono le 22:19 del 25 novembre quando a 90 anni si spegne Fidel Castro, l’ultimo simbolo di quella rivoluzione, avvenuta più di cinquant’anni fa, che trasfigurò per sempre Cuba e la storia stessa del Novecento. Ne dà l’annuncio il fratello del Lider Maximo, Raùl, che dal 2008 aveva definitivamente ricevuto il potere supremo nelle proprie mani da quelle di Fidel, troppo provato da seri problemi di salute per mantenerlo.
Il Lider Maximo in una fotografia recente
Difficile trovare un uomo più amato e contemporaneamente più odiato di lui: le reazioni alla notizia della sua morte spaziano da quelle dei cubani fedeli al regime (in lacrime, radunati in interminabili processioni) a quelle dei 3 milioni di esuli sparsi tra Stati Uniti, Spagna e Messico (con tanto di pubbliche manifestazioni di giubilo e festeggiamenti vari). Le ragioni di questa ambiguità sono da ricercare rispettivamente nella sua vita e nella sua personalità fuori dall’ordinario, capaci di trasformare un laureato in legge molto miope, barbuto, e “un po’ naif” (come lo definirà il vicepresidente Nixon al Presidente USA Eisenhower nel ’59, durante la sua prima visita alla Casa Bianca) in uno dei personaggi politici più influenti del XX secolo.
Fidel Castro con l'amico Che Guevara alla sua sinistra
L’8 gennaio del 1959 Fidel Castro, insieme ad alcuni compagni (tra i quali l’amico Che Guevara), entra trionfalmente a L’Avana, spodestando l’allora dittatore Fulgencio Batista, in qualità di capo assoluto di una rivoluzione che egli definisce “umanista”, volta a trasformare l’isola caraibica in uno Stato socialista sul modello dell’Unione Sovietica. E difatti proprio con l’Urss stringerà gli accordi che causeranno sia il temporaneo benessere economico di Cuba, sia l’odio incondizionato degli americani (con conseguenti numerosi tentativi di assassinio); un odio giustificato anche dall’episodio della cosiddetta crisi dei missili, a causa del quale il mondo si ritrovò a rischio guerra atomica fino al raggiungimento del compromesso tra Washington e Mosca. Ma il periodo di splendore della Cuba socialista, durante il quale aumentano le scuole e gli ospedali insieme alla censura e alla caccia ai dissidenti, termina improvvisamente negli anni Novanta, quando l’Urss smette di erogare quei miliardi che, secondo il patto di Varsavia, aveva continuato a versare per decenni pur di mantenere l’avamposto strategico di quell’isola, così vicina alle coste statunitensi. Eppure, nonostante la terribile crisi economica, nonostante l’esodo di Mariel (migliaia di cubani, dopo giornate di accese proteste a L’Avana raggiungono gli USA grazie a un accordo con il presidente Carter), nonostante il conflitto con gli intellettuali, giunto al culmine con il caso Padilla, Fidel Castro rimane un dittatore saldo al potere, vezzeggiato da letterati come Gabriel García Marquez e amato da un popolo disposto a fare immensi sacrifici in nome di nazionalismo, indipendenza, socialismo. E così continua ad essere trattato oggi, mentre i suoi eredi si danno da fare per smontare pezzo per pezzo gran parte del sistema da lui escogitato per conservare il potere; il regime ha infatti subito una graduale apertura e il fratello Raùl ha persino fatto pace con gli storici nemici statunitensi. A piangerlo ci sono la seconda moglie Dalia, una decina di figli tra legittimi e non, e un’intera nazione che sarà in lutto per nove giorni, fino ai funerali del 4 dicembre. Di Fidel, così come di tante altre personalità importanti che proprio nel 2016 hanno lasciato questo mondo, ci rimane un Paese profondamente cambiato e il ricordo di un uomo straordinario, con in bocca un sigaro e le quattro parole divenute il suo motto preferito: "Hasta la victoria, siempre."
Fidel Castro in una foto risalente ai primi anni dopo il suo insediamento
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