
Per meglio conoscere ed analizzare questa grande piaga dell’umanità abbiamo deciso di intervistare due signore, immigrate rispettivamente nel 2003 e nel 2010, e farci raccontare le loro storie.
Ci rechiamo alla Tenda, un’associazione ONLUS dove noi facciamo alternanza scuola-lavoro e che si occupa proprio di aiutare gli immigrati ascoltandoli, consigliandoli come muoversi, a chi rivolgersi, distribuendo pacchi viveri, buoni doccia e vestiti, ma comunque sempre instaurando un rapporto di dialogo con queste persone, un dialogo che invece è spesso assente con i vari servizi sociali.
È mercoledì, c’è il corso di italiano, arriviamo e, in attesa di poterle intervistare, diamo una mano alla maestra. Ci accorgiamo subito del grande desiderio che hanno queste signore e questi signori di imparare la nostra lingua, sono molti contenti di essere di nuovo “a scuola” e ascoltano qualsiasi consiglio. Al termine della lezione rimangono salutiamo tutti e siamo pronti per intervistare Amina e Hadjira, rimaste apposta per noi.
La prima a cui ci rivolgiamo è Amina perché poi deve andare a prendere a scuola suo figlio. Amina nasce nel 1983 a Beni Mellal, città del Marocco di 500 mila abitanti, capoluogo dell'omonima provincia. Là studia fino al liceo, dedicandosi in particolare alle materie linguistiche e letterarie. Terminato il liceo non riesce a trovare lavoro, in compenso sente parlare molto bene dell’Italia da padre che spesso vi si recava per turismo. Inoltre vive in Italia, a Verona, la zia, a cui lei è molto legata. Le difficoltà economiche la spingono, data l’assenza di lavoro nel suo paese, a trasferirsi in Italia dalla zia. Il primo impatto nella nuova città è abbastanza difficoltoso: Amina non conosce nessuno, non riesce a comunicare parlando in francese e ha difficoltà con l’italiano, che però è costretta ad imparare. Pian piano però riesce a superare queste difficoltà e qui si ferma tre anni durante i quali conosce un ragazzo di cui si innamora, ma che vive a Torino. Nonostante lui le chieda più volte di raggiungerlo e sposarlo, Amina per due anni preferisce non lasciare il lavoro che la zia le aveva finalmente trovato, sebbene si tratti di dodici ore alla catena di montaggio di un’azienda di biciclette. Ruota dopo ruota, a causa del basso stipendio, sceglie di andare a Torino dove le prospettive di vita sembrano migliori e dove la aiuterebbe anche la presenza di colui che di lì a poco diventa suo marito. A Torino dopo due anni partorisce suo figlio Tarik, che essendo nato in Italia le permette di rinnovare il permesso di soggiorno, che aveva ottenuto subito dopo essere arrivati in Italia. Quando riesce a mandare il figlio all’asilo, torna a lavorare, questa volta come badante a tempo pieno e per tutta la settimana. Il lavoro le permette anche di separarsi dal marito al quale era ormai legata per lo più per motivi economici durante la maternità. Nel 2012 si risposa e l’anno successivo partorisce il suo secondo figlio, Abdel. Nuovamente il secondo figlio le permette di rinnovare il permesso ed è a questo punto della narrazione che Amina ci racconta quanto pensa dei servizi dei sociali italiani e della situazione in Europa: i servizi sociali, a suo avviso, non sono buoni perché non sono mai riusciti ad aiutarla veramente, inoltre ritiene che i permessi di soggiorno vengano dati a tutti, indiscriminatamente dalle varie situazioni. A questo punto critica persino gli immigrati, compresa se stessa: quanto precedentemente detto secondo lei toglie ulteriormente lavoro agli italiani, che già sono in difficoltà, a differenza di quanto lei pensava in precedenza. Si è resa infatti conto che anche in Europa vi è molta crisi, in particolare in Italia. Per questo le piacerebbe almeno spostarsi in Francia (anche per la lingua) o in Olanda, dove ha una cugina che le parla bene della sua situazione. Tuttavia ci dice che il suo grande desiderio è di fare ritorno in Marocco dove il marito ha una piccola casa. Per il momento però lei e il marito non hanno la disponibilità economica per spostarsi, andando alla ricerca di un nuovo lavoro, abbandonandone così uno sicuro.
Conclusa la sua storia le facciamo ancora una domanda, le chiediamo cosa ne pensa della situazione in Medio Oriente legata all’Isis; Amina ci risponde ce assolutamente lei è contrarissima, quelli non sono musulmani e ci spiega come il Corano condanni persino l’aborto, e come dunque non siano minimamente giustificate questi continui conflitti in nome di una religione che allora non è la sua, ci dice. L’intervista termina così, Abdel piange e deve andare a prendere Tarik a scuola. Amina allora ci saluta: è molto contenta dell’intervista, le fa piacere aver parlato ed essersi confrontata con noi.
A questo punto ci rivolgiamo ad Hadjira che aveva pazientemente aspettato mentre intervistavamo Amina e che è ora ansiosa di raccontarci la sua storia. Hadjira nasce nel 1985 in Algeria, a Medea. Là vive con tutta la sua famiglia e studia: completa l’università di Informatica, specializzandosi come programmatrice di computer. Una volta terminati gli studi però fatica a trovare lavoro ed è dunque costretta a trasferirsi in Italia dopo aver ricevuto un contratto di lavoro da un’azienda torinese. Arriva a Milano Malpensa nel settembre 2010, sale sul bus e dopo altre due ore di viaggio giunge finalmente a Torino. Qui la accoglie la sorella, trasferitasi l’anno prima sempre per mancanza di lavoro in Algeria. Il primo impatto con la nuova città non è dei più semplici: ha difficoltà con l’italiano (sebbene sappia molto bene il francese) e il contratto purtroppo è valido solo per alcuni mesi. D’altra parte però ci dice che Torino la aiuta molto, è una bellissima città, molto accogliente e molto aperta agli stranieri. La sorella riesce a trovarle un lavoro come badante presso una signora anziana, conosce pian piano la grande comunità araba torinese e riesce ad imparare l’italiano sia stando con la signora che guardando la televisione, in particolare i cartoni animati ci dice. Nel 2014 si sposa qui in Italia e poco dopo ha una bambina di nome Fathia che vediamo gattonare felice dalla mamma. Dopo aver avuto la bambina entra in maternità e può fare la badante solo più il sabato e la domenica. Il marito però lavora e questo permette loro di andare avanti, anche con gli aiuti della parrocchia di zona che riesce a dare loro un po’ di spesa ogni settimana. Ci dice che ora la situazione non è ottimale, ma che non può che migliorare: è infatti molto contenta di essere venuta in Italia e quando sarà accolta la domanda per il nido, riuscirà a riprendere a lavorare. Intanto fa quello che può: si occupa della bambina e della casa e quando ha un po’ di tempo studia l’italiano. Per questo si è recata alla Tenda, un’associazione di cui ha sentito parlare molto bene e dove si trova molto a suo agio, “sono tutti molto disponibili e simpatici e posso far venire anche mio figlio”, ci dice. Per il futuro ha appunto intenzione di rimanere in Italia dove si trova molto bene e in particolare a Torino con suo marito. Per quanto riguarda la sua famiglia ci dice che si sentono spessissimo e che si vedono ogni estate quando lei si reca per un mese in Algeria. Anche a lei chiediamo un parere sulla situazione in Medio Oriente e anche lei ritiene che assolutamente quella non è la sua religione e che condanna tutti questi conflitti. Aggiunge inoltre che trova molto difficile informarsi sia con i giornali che con la tv, perciò chiede spesso ai suoi in Algeria e vorrebbe imparare meglio l’italiano. Detto ciò ci salutiamo e la ringraziamo molto per la sua disponibilità; anche lei è molto contenta di aver parlato con noi e ci dà appuntamento al prossimo mercoledì quando ci sarà una nuova lezione di italiano.
Da queste due semplici al fine dell’argomento che ci siamo proposti di trattare, ovvero l’integrazione, la vita dell’immigrato dopo i primi giorni, possiamo ben renderci conto di come la situazione sia complessa e dipenda dai singoli casi. Amina ci ha mostrato infatti un generale malcontento, una delusione rispetto a quanto si aspettava dall’Europa e dall’Italia. Allo stesso tempo però ci ha anche parlato di Torino come di una città comunque in grado di accogliere le persone come lei, emigrate di propri paesi, molto più di quanto accada in altre regioni, in altre città, come appunto Verona. In generale ci ha presentato quindi l’Italia come abbastanza arretrata da questo punto di vista, anche in confronto ad altri paesi che a suo dire meglio accolgono ma soprattutto integrano i migranti. Complessivamente diversa l’opinione di Hadjira che invece è parsa contenta della situazione in cui si trova, dell’Italia e soprattutto della città di Torino, in grado fin da subito di accoglierla e di garantirle una condizione di vita accettabile. Contenta dei servizi ricevuti, sebbene non si trovi comunque in una situazione facile, Hadjira è intenzionata a rimanere in Italia, convinta che la situazione non possa che migliorare e che starà comunque meglio che in Algeria. Intenzioni diverse rispetto ad Amina desiderosa invece di trasferirsi e di tornare in Marocco.
Due opinioni contrastanti che permettono di meglio comprendere la situazione relativa agli immigrati e alla loro vita, una situazione che spesso non viene raccontata da giornali e media vari, che si concentrano il più delle volte su quelle notizie, in grado magari di fare più vendite, più ascolti ma che descrivono solo una parte del complesso fenomeno dell’immigrazione, oggi più che mai centrale nel complesso scenario di un mondo in grande cambiamento.
Filippo Giorgis e Filippo Castello
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