Lehman Trilogy, di Stefano Massini con regia di Luca Ronconi, è in scena a Torino, teatro Carignano, dal 9 al 20 novembre. Suddiviso in tre sezioni, ma rappresentato in due serate, l’opera racconta la storia della famiglia Lehman, simbolo di centosessant’anni di capitalismo americano. Si tratta dell’ultima regia di Ronconi, che ci ha abbondonato proprio durante le riprese di questo spettacolo. Un regista, Ronconi, che si è sempre concentrato sull’analisi del mondo della finanza, come ci dimostrano molte delle sue regie: Lo specchio del diavolo di Giorgio Ruffolo, La compagnia degli uomini di Edward Bond o ancora Santa Giovanna dei macelli di Brecht; pertanto si può considerare Lehman Trilogy, anche da questo punto di vista, una sorta di riassunto della sua storia registica, il suo testamento. La grande caratura dell’opera, vincitrice di 5 Premi Ubu (tra cui migliore spettacolo, migliore testo e migliore scenografia), non è però dovuta solo ad un grande regista come Ronconi e a Stefano Massini, tra i più importanti autori europei per la scena già aggiudicatosi il Grand Prix du Syndacat de la Critique 2014. Non bisogna infatti dimenticare il superbo lavoro di allestimento di Marco Rossi, complesso nella sua semplicità e ovviamente attori di fama internazionale che danno vita a interpretazioni di rara bellezza, forza, passione sia individualmente che collettivamente.
Trailer dello spettacolo a cura del teatro Piccolo di Milano
Il primo ad entrare in scena è Massimo de Francovich, nel ruolo del primo dei tre fratelli Lehman, Henry, la mente, colui che per primo arriva a New York l’11 settembre 1848, lasciandosi alle spalle un piccolo paesino della Baviera. Henry appena sbarcato si dirige al Sud, in Alabama, dove apre un negozio di stoffe e tessuti. Tre anni più tardi lo raggiunge Emanuel, fratello di mezzo, interpretato da un fantastico Fabrizio Gifuni, che ne sottolinea perfettamente la natura di braccio.
I Lehman Brothers: da sinistra a destra
Henry (de Francovich), Emanuel (Gifuni)
e Mayer (Popolizio).
Infine arriva il minore dei tre, Mayer, quello che sta fra la testa e il braccio affinché “il braccio non spacchi la testa e la testa non umili il braccio”, non per niente detto familiarmente Bulbe (patata), una superficie liscia che può insinuarsi ovunque, smussare gli angoli comportamentali fra i due e attutire i colpi: caratteristiche che rendono complesso il personaggio, ma che sono egregiamente rese nell'interpretazione di Massimo Popolizio, vincitore del premio Ubu come migliore attore protagonista. Di origine ebrea i tre fratelli Lehman sono venuti in America con il sogno della ricchezza, di una nuova vita tutta da conquistare; allo stesso tempo sono però ancora forti in loro i legami con una tradizione antica che però sembra esser rimasta oltreoceano. Trasformandosi in compratori di cotone e rivenditori dello stesso, essi diventano i “mediatori” in un economia sempre più su larga scala, tant'è che grazie alla spinta di Emanuel i Lehman si trasferiscono a New York , nuovo centro per il commercio del cotone, dove aprono la loro prima succursale al numero 119 di Liberty Street. A causa delle difficoltà conseguenti la guerra di secessione, la società partecipò al finanziamento della ricostruzione dell'Alabama e il quartier generale venne alla fine spostato a New York, dove partecipò alla fondazione della Borsa del cotone nel 1870. Davanti alla porta della prima Wall Strett, in bilico sul suo filo, ogni mattina fa avanti e indietro, sospeso nel vuoto, l’equilibrista Solomon Paprinskij, interpretato da Fabrzio Falco, vincitore del premio Ubu come migliore attore under 35. Egli è costantemente in bilico, forse un po’ come il mercato delle grandi banche, la borsa,
Solomon Paprinskij (Falco) in bilico di
fronte a Wall Street.
come i Lehman.
Successivamente con l’avvento del figlio di Emanuel, Philip, giocatore di tennis, calcolatore, che scrive tutto ciò che è da fare in stampatello sulla sua agenda, la società si amplia, investe in tutto il mondo, dalle ferrovie al caffè. Philip rappresenta la seconda generazione Lehman, affiancato dal cugino Herbert, figlio di Mayer, interpretato da Roberto Zibetti. Herbert Lehman non è mai d’accordo, dall’insegnamento delle Sacre Scritture a scuola fino all’economia, allo stesso modello Lehman. Entrato in politica, come democratico, al fianco di Eisenhower, governatore di New York e poi senatore, convinto sostenitore del New Deal si scontrerà infatti con il figlio di Philip, Robert Lehman, detto Bobby, interpretato da Fausto Cabra, appassionato di cavalli, studente di Yale, che sostituirà il padre durante la crisi del 1929, salvando la banca, ma anche ponendo le basi di quella che sarà la crisi che porterà al fallimento. Egli, sempre più lontano da quell’identità radicata a Rimpar, in Baviera, snaturerà i caratteri della Lehman Brothers, che passerà dopo la sua morte a Pete Peterson, di origine greca
arrivato in america dopo la guerra, insieme all’ungherese Lewis Glucksman, trader da battaglia, che acquisterà sempre più importanza fino all’acquisto della stessa società. Acquisto effettuato al termine di un acceso dialogo con Peterson, in un penultimo atto che sa tanto di sconfitta. Una sconfitta che si palesa poco dopo nell’ultimo atto quando tutti riuniti gli ormai defunti Lehman assistono al fallimento della Lehman Brothers nel 2008, il 15 settembre, in seguito alla crisi dei mutui sub prime.
Robert Lehman (Cabra) in uno degli
ultimi consigli di amministrazione.
La trama, che vi ho brevemente riportato, finisce in secondo piano rispetto alle interpretazioni degli attori e ai caratteri dei personaggi che incarnano perfettamente lo spirito delle varie epoche in cui vivono. Del resto sembra che all'autore così come al regista interessino maggiormente i valori, le idee che si celano dietro al pragmatismo capitalistico. Come ha detto l'attore Fausto Cabra a Spettacolarmente:"E' una storia di persone, neanche di una banca, che si passano questa banca di generazione in generazione. Non a caso, se fosse la storia di una banca, si continuerebbero a narrare esattamente i fatti fino al 2008. C'è una crasi quando muore l'ultimo Lehman: il focus sulla banca si perde e si sposta sul passaggio di generazioni. Il DNA di questi uomini si modifica dall'Ottocento fino ad arrivare agli anni '80 fino al 2000. Era questo che interessava a Ronconi: la perdita del rapporto con le radici e la ricerca dell'identità tramite il possesso fondato sulle radici. Questo è il racconto fondamentale." Lo spettacolo diventa così un efficace dipinto della storia economica americana. In partcolare colpisce la scelta dell'autore di uno stile narrativo per cui i personaggi agiscono non incarnandosi ma raccontandosi in terza persona, salvo in alcuni brevi ed efficaci dialoghi, una scelta così spiegata al magazine PAC : "Nella storia dell’arte, soprattutto nel campo delle arti figurative classiche, si è ormai affermato il concetto di post-moderno, per il quale essendo già stata sperimentata ogni rottura dei linguaggi, la rottura, per se stessa, non è più considerata una forma espressiva, ma una delle forme espressive. Mi tengo molto stretta l’idea di testo materiale, perché se da un lato è molto complessa, dall’altro è molto aperta. Nella trilogia si realizza proprio il trionfo di questo principio. Si tratta infatti di un testo anarchico dove il dialogo lascia spazio alla narrazione in terza persona, la narrazione alla cronaca, la cronaca alla poesia, la poesia, addirittura, a tratti, alla commedia, all’epica e alla tragedia." Effettivamente assistiamo nel corso dell’opera a moltissimi stili di linguaggio che variano da un tono allegro, concitato, tipico della commedia a un registro solenne, ai limiti del tragico. E queste parole servono a narrare fatti, avvenimenti, stati d’animo, situazioni che spaziano dal monologo comico alle tristi orazioni funebri. La storia si sviluppa infatti su più livelli come ho già accennato in precedenza e per ognuno di essi viene utilizzato un diverso tipo di linguaggio, a testimonianza della grande bravura dell’autore e, in seguito, degli attori stessi che riescono in corso d’opera a modificare perfettamente i toni a seconda dei vari contesti. Questa loro abilità si rivela fondamentale anche per la costruzione vera e propria della scena, in quanto affianca gli attori un palco apparentemente spoglio che viene riempito pian piano dalle parole stesse. Si tratta dunque di uno spettacolo completo sotto tutti i punti di vista, ricchissimo sia sul piano delle interpretazioni che su quello dei contenuti. Meritevolissimo dei premi ricevuti questa rappresentazione ha riscosso grande successo anche da parte del pubblico, come dimostra il tutto esaurito a quasi tutte le sere in cui è andato in scena. Un grande successo che celebra e rende omaggio al purtroppo defunto regista Luca Ronconi, al quale dedico questo mio articolo e ringrazio per il grande teatro che ha proposto nel corso degli anni.
Le interviste agli attori esclusive del teatro Stabile con la collaborazione degli studenti del DAMS.
Nessun commento:
Posta un commento